DOVIER & PARTNERS, MERCOLEDI’ 01 APRILE 2020
In un periodo come il presente, caratterizzato da un’emergenza sanitaria senza precedenti, determinata dalla pandemia generata dal COVID-19, si pongono numerosi problemi pratici anche sul versante dei rapporti contrattuali.
In particolare, a seguito delle pesanti restrizioni imposte alla circolazione degli individui, con chiusure di molti locali commerciali, coloro che esercitano attività imprenditoriali in immobili ottenuti in locazione, potrebbero trovarsi in difficoltà nel versamento dei canoni di locazione per i sopra detti immobili.
Il presente intervento, mira a fornire ai nostri clienti, che si trovano nella situazione appena descritta, un breve vademecum, che consenta loro di fruire più consapevolmente degli strumenti offerti dall’ordinamento per districarsi in questo contesto di rara eccezionalità.
In primo luogo corre l’obbligo di precisare che l’interruzione, ex uno latere, nella corresponsione del canone di locazione, potrebbe esporre il conduttore al rischio di subire un’azione giudiziale da parte del proprietario locatore volta a ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento.
Tale azione potrebbe prendere le forme del procedimento sommario di sfratto per morosità (ex artt. 658 e ss c.p.c. con possibilità di ottenere anche contestualmente un’ingiunzione di pagamento provvisoriamente esecutiva); o quelle dell’azione a cognizione ordinaria, nelle forme dettate dagli artt. 414-447-bis e ss. c.p.c. e promosse con il cosiddetto “rito locatizio”. Azione quest’ultima -si badi- che deve essere necessariamente preceduta, a pena di improcedibilità della domanda, dal procedimento di mediazione obbligatoria ex art. 5 D. Lgs. n. 28/2010, essendo la materia della locazione una di quelle materie per le quali è previsto il tentativo obbligatorio di mediazione).
È ben vero che nell’eventuale azione giudiziale, promossa nei propri confronti, il conduttore potrebbe dimostrare che il mancato adempimento dell’obbligazione del pagamento dei canoni è stata determinata dalla cosiddetta impossibilità sopravvenuta della prestazione scaturita dall’emergenza sanitaria per il dilagare del COVID-19 e dai conseguenti provvedimento volti a contenere -in termini anche drastici- il contagio e la diffusione del contagio del virus.
Però, rimane il fatto che si dovrà affrontare un giudizio e in tale giudizio dovrà essere allegata l’impossibilità e provato che la stessa rispetti i requisiti dell’obiettività e della non imputabilità come richiesti e previsti dall’orientamento consolidato della Suprema Corte di Cassazione.
Passando ad analizzare ventaglio delle opportunità offerte dall’ordinamento giuridico direttamente al conduttore, a parere di chi scrive, poco incisiva e sicuramente non rispondente alla possibile e auspicata continuità dell’attività commerciale, risulta l’azione promossa, come detto dal conduttore-debitore, ex art. 1467 c.c.
La disposizione codicistica prevede che, nei contratti come quello di locazione (cosiddetti contratti ad esecuzione continuata), se la prestazione di una delle parti (il conduttore nel nostro caso specifico), è divenuta eccessivamente onerosa, a causa di avvenimenti straordinari e imprevedibili, tale parte contrattuale può domandare la risoluzione contrattuale.
Ebbene, seppur versando nel presente periodo, in una situazione che configura perfettamente i requisiti della disposizione del codice civile appena citata, il conduttore, domandando la risoluzione del contratto avvalendosi dei requisiti descritti nella norma, potrebbe vanificare -in modo forse irreparabile- il frutto di anni di sacrifici, trovandosi a dover iniziare nuovamente l’attività in altri e diversi locali con notevole dispersione dell’avviamento generato nel corso del tempo.
Continuando nella disamina delle iniziative rimesse all’impulso del conduttore, preme evidenziare che appare più logico e coerente, nell’ottica della continuità aziendale, avanzare, in forma stragiudiziale, mediante comunicazione scritta (raccomandata A/R e/op pec) al locatore, la richiesta di riduzione del canone di locazione.
Tale richiesta, avanzata in via stragiudiziale, potrebbe non incontrare i favori del locatore, il quale, ritenendo che la situazione sia solo temporanea, non intende procedere alla riduzione del canone mensile di locazione per tutta la durata residua del contratto in essere.
A questo punto, l’attenta analisi delle norme, dettate dal nostro ordinamento, in caso di sopravvenienze contrattuali, offre al conduttore-debitore un altro prezioso strumento da azionare dapprima in via stragiudiziale attraverso il contatto diretto con il locatore e successivamente anche in via giudiziale.
Invero, la posizione del conduttore, che non ha potuto esercitare la propria attività, a seguito della chiusura dell’esercizio commerciale, mercè i provvedimenti di contenimento del contagio, rientra nell’ipotesi astratta di cui all’art. 1258 c.c.
La citata disposizione prevede il caso in cui, verificatasi un’impossibilità parziale a rendere la prestazione, il debitore si intende liberato dall’obbligazione su di esso gravante offrendo la parte della prestazione ancora possibile.
In questo caso (a parere di chi scrive sicuramente preferibile rispetto alle ipotesi astratte normate dagli artt. 1467 e 1463 c.c., perché quanto meno tenta di salvaguardare la continuità aziendale e non sfocia in una azione di risoluzione (cfr. art. 1467 c.c.) o non concede alla controparte la possibilità di recedere dal contratto (cfr. art. 1463 c.c.)) il conduttore-debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile.
Pertanto, sussumendo i principi di diritto indicati nella disposizione normativa, nel caso concreto, il conduttore, una volta raggiunto l’accordo con il locatore sull’applicazione della norma codicistica di cui all’art. 1258 c.c., determina, con l’ausilio di un professionista tecnico-contabile, la parte del canone di locazione che non è possibile onorare a causa della straordinarietà della situazione e lo decurta dall’importo mensile originariamente previsto nel contratto.
In questo modo operando, il rapporto contrattuale è salvo e continua a durare e, quanto meno per il periodo di crisi, l’importo del canone potrà essere ridotto senza incorrere in alcuna azione giudiziale da parte del proprietario/locatore che si è visto arbitrariamente decurtare l’introito mensile.
È chiaro che tale situazione, in caso di mancato accordo con la controparte, sulla sostanziale riduzione del canone, dovrà essere fatta valere dapprima in mediazione (D. Lgs. n. 28/2010) e, nell’ipotesi di fallimento della procedura di mediaconciliazione, in via giudiziale con apposita azione incardinata dinnanzi al Tribunale del luogo in cui è collocato l’immobile oggetto del contratto di locazione (salvo che nel contratto sia inserita una clausola compromissoria che devolve ad arbitri la controversia sull’interpretazione ed esecuzione del contratto).
Deve essere, per completezza sottolineato che la possibile criticità di tale rimedio, potrebbe risiedere nel fatto che l’impossibilità parziale, allo stato, non sia definitiva.
Invero, superata l’emergenza sanitaria, l’immobile sarà nuovamente e pienamente fruibile.
Però, a ben guardare, secondo chi scrive, tale rimedio – in disparte le possibili criticità sopra indicate-, rimane quello che compendia in maniera sicuramente più tutelante le esigenze del conduttore-imprenditore in questo periodo di forte crisi generata dalla pandemia e anche di quello successivo nel quale la ripresa delle attività potrebbe essere lenta e irta di difficoltà.
(Articolo scritto dall’Avv. Francesco Falconieri)